Jack W. Painter, Ph. D.
Articolo storico del 1985, nel quale Jack W. Painter presenta la Integrazione Posturale.
Apparentemente molti di noi vogliono cambiare, vogliono essere più rilassati, più vivi. Ma qui risiede il problema basilare della trasformazione umana. Sebbene diciamo di volere un tipo di vita diversa e magari siamo anche coinvolti in molti progetti per migliorare noi stessi, c’è una parte di noi che ostinatamente resiste ad ogni ridirezione basilare delle nostre vite. Questa parte di noi, che rifiuta di lasciarsi andare, è la nostra corazza. La chiamiamo corazza perché è quell’aspetto di noi che, avendo paura di possibile dolore e confusione, indurisce e insensibilizza i nostri corpi e mantiene le nostre sensazioni ed i nostri pensieri sotto attento controllo
La nostra corazza sono tutte quelle posture ben sviluppate per fronteggiare la vita: collo rigido, pancia tirata in dentro, vita molle. Tutti quei sentimenti tenuti a bada: tristezza coperta, rabbia trattenuta, paura paralizzante. La corazza è tutte quelle credenze spesso tacite ma che ci controllano: se ci provo, avrò successo; se sono cortese con te, tu dovresti essere cortese con me. Riflettete sul vostro stesso comportamento. Notate i piccoli trucchi per superare la giornata; come vi mettete in avvio la mattina, come vi tenete su evitando di indulgere in pensieri negativi, come mettete in mostra il vostro lato migliore quando volete fare una buona impressione sulla gente. Gran parte di questo tipo di comportamento diventa come una seconda natura per noi, messa in moto inconsciamente e funziona bene per noi fino al punto che rimane in grado di proteggerci dal dolore e dalla confusione. Comunque, queste abitudini sono anche un limite per noi e prima o poi, formano una struttura rigida che va ad inibire la nostra spontaneità. Una delle principali difficoltà insite nel cambiare noi stessi risiede nel fatto che la nostra corazza è in larga parte inconscia, ma mantiene il suo controllo anche quando tentiamo di modificare noi stessi o parte di noi stessi. Ogni volta che tentiamo di cambiare la nostra vita, ci serviamo in effetti di posture ed atteggiamenti, per fronteggiare i nostri problemi, già sviluppati e inconsci. Per esempio, se arcuate eccessivamente le vertebre lombari, creando severi dolori alla schiena, può darsi che cerchiate sollievo facendo esercizi yoga. Magari vi concentrate su esercizi che sono i più facili da eseguire e che momentaneamente danno una buona sensazione, come ad esempio arcuare la schiena ancora di più nella posizione del pesce o del cobra. Alla lunga queste posture semplicemente aumenteranno lo sbilanciamento del corpo e creeranno più dolore. In questo caso un atteggiamento inconscio ci guida nel cercare sollievo, ma in una maniera che rinforza la vecchia posizione del corpo. Anche se siete molto disciplinati e lavorate con posizioni yoga che raddrizzano la schiena, attraverso l’atteggiamento che vi portate addosso in tutto il corpo, semplicemente trasferirete la tensione e lo sbilanciamento ad un’altra parte del corpo. Nel raddrizzare la schiena, magari incurvate le spalle e ipercontrarrete i muscoli del petto.
Prendiamo un altro esempio. Se siete molto duri all’esterno del corpo, tenderete a cercare massaggi rilassanti molto profondi. Potrete, attraverso manipolazioni frequenti e complete dei vostri tessuti esterni, cominciare a rilassarvi, ma rilassarvi all’esterno. Molta di questa tensione esterna a si sposterà negli strati più profondi dei muscoli e dei tessuti. Vi ritroverete ancora con una corazzatura restrittiva, con la differenza che ora è diventata interna, si è internalizzata. Le tensioni del corpo chiaramente sono inseparabili le une dalle altre e fanno parte delle nostre posture ed abitudini generali. Un lavoro su qualsiasi parte del corpo che non liberi anche l’intera struttura, l’atteggiamento abituale che è dietro alla nostra postura, non rappresenta una trasformazione ma semplicemente un riarrangiamento dei nostri problemi. Ma a come possiamo intervenire efficacemente sulle nostre abitudini basilari, sulla nostra struttura sottostante? Potremmo essere tentati di considerare i nostri atteggiamenti emotivi e mentali fondamentali come la chiave per cambiare noi stessi, ma anche quando andiamo più in profondità ed affrontiamo le emozioni ed i pensieri connessi ai nostri dolori fisici ed ai nostri equilibri, ci imbattiamo di nuovo in un sottile evadere. Ogni volta che dico di essere intenzionato ad esplorare ogni parte del mio corpo e ad affrontare i miei pensieri ed i miei sentimenti, può darsi che stia usando una parte inconscia della mia corazza. Qui può nascondersi un messaggio implicito: “Sto provando, ma niente funziona mai per me.” Un messaggio che sta influenzando e manipolando il mio corpo e la mia mente anche quando io penso che sto liberando entrambi. In tutto il nostro comportamento intenzionale vi sono degli atteggiamenti fondamentali inconsci, sviluppati insieme alla postura fisica e che governano i nostri sforzi bene intenzionati di migliorare la nostra vita. Chiederete a questo punto: che genere di approccio, che genere di processo, può aiutarci contro queste difese inconsce e profondamente radicate? Io ho trovato nel mio lavoro su me stesso e su altri che ciò di cui abbiamo bisogno è un modo di intervenire sull’intero sé, sull’unità di ogni parte del corpo, l’esterno unito all’interno, l’unità del corpo con la mente. Mentre cambiamo vecchie e rigide posture corporee, contemporaneamente, abbiamo bisogno di cambiare i sentimenti rigidi e i processi di pensiero rigidi che le accompagnano; o anche, se liberiamo emozioni ed idee bloccate, abbiamo bisogno di liberare simultaneamente i muscoli ed i tessuti per permettere nuovi e più flessibili movimenti.
Voglio condividere con voi un metodo che ho sviluppato in trent’anni di esperienza di lavoro e insegnamento. E’ un tipo di “lavoro corporeo,” vale a dire un metodo che interviene direttamente sui muscoli, sulle posizioni, le posture e i movimenti del corpo che non considera esclusivamente gli aspetti fisici del sé ma che è anche lavoro diretto sulle attitudini emozionali e mentali espresse da queste attività fisiche. Questo metodo o processo si chiama “Postural Integration.” Se non conoscete la Postural Integration (Integrazione Posturale) in quanto metodo di trasformazione dell’intero sé, potrete sorprendervi se vi capita di assistere ad una seduta. Incontrerete l’integratore posturale chino su di una persona, che interviene con le mani, le dita o i gomiti, mentre la persona fa suoni, si lamenta o addirittura urla e tira calci. Vi potrà capitare di vedere l’integratore posturale che lavora molto dolcemente: culla, sorregge, e massaggia la persona incoraggiandola a respirare profondamente o anche ad entrare in un dialogo che chiarifica sentimenti ed idee. Che senso potrete ricavare da questo? Può sembrare che si tratti di un culto o di un rituale. Ma se riconosciamo che resistiamo al cambiamento sia corporeo che mentale, possiamo iniziare a comprendere il bisogno di strategie diversificate per trasformare entrambi gli aspetti. L’Integrazione Posturale è un lavoro corporeo in cui l’integratore usa dita, nocche, e gomiti per agganciare, ruotare e spostare strati di tessuto e riorganizzare il sistema muscolare. Questo procedimento non è lavoro corporeo nel senso restrittivo, che il corpo viene trattato separatamente dall’emozione dalla mente, ma è corporeo nel senso che il corpo è la forma tangibile immediatamente accessibile del corpo e della mente. Il potere straordinario dell’Integrazione Posturale risiede nella volontà del cliente e dell’integratore di lavorare su diversi livelli nello stesso momento. Mentre incontro il corpo con le mani ed allento le tensioni muscolari profonde, guardo il cliente negli occhi. Mentre applico pressione con le mani, chiedo alla persona di condividere con me attraverso suoni, movimenti e parole ciò che sta avvenendo, ciò che sente, percepisce e pensa. Mediante il mantenimento di questo contatto, di questo aperto condividere, l’integratore può mantenere la flessibilità necessaria, variare l’enfasi nel lavoro per incontrare i cambiamenti nelle richieste della persona nella sua interezza. L’integratore ed il cliente insieme, a volte lavorano col tessuto, a volte con parole, altre con suoni, continuamente riconoscendo l’unità fisica, emozionale e cognitiva del procedimento.
Si potrebbe obiettare comunque che un cambiamento fondamentale del sé deve implicare più di un condividere momentaneo come questo, indipendentemente da quanto unificato fisicamente ed emozionalmente sia. In realtà l’Integrazione Posturale non è un semplice sollievo momentaneo, è un processo sistematico per confrontarsi con l’intero Se’ guidato passo dopo passo dall’operatore allo scopo di riscoprire la nostra interezza, salute, flessibilita’ e spontaneita’. Gli operatori ed i trainers di Integrazione Posturale hanno scoperto in molti anni di esperienza, osservazione e condivisione che nel processo di riunificare il proprio Se’ è particolarmente importante: 1) lavorare con i diversi strati del corpo-mente, le strutture ed emozioni esterne tanto quanto quelle interne; 2) regolare e bilanciare il nostro livello di energia, in modo da non essere presi da modelli quali essere deboli e denutriti oppure esplosivi e ipereccitati; 3) assimilare e comprendere i cambiamenti di cui abbiamo esperienza, realizzando che possiamo accettare i nostri vecchi se’ ed al tempo stesso essere disponibili a nuove esperienze.
Rilasciare l’interno e l’esterno
Il nostro sviluppo è una storia di risposte apprese, molte delle quali noi trasformiamo in abitudini rigide per proteggerci verso il dolore, ma che impediscono anche la nostra completezza e spontaneità. Le prime abitudini nate nella vita, formano il nucleo della resistenza. Durante il trauma che esperienziamo al momento della concezione, mentre ci muoviamo lungo le tube di falloppio, e quando ci impiantiamo e siamo in gestazione nell’utero, già stiamo formando configurazioni per proteggerci, chiudendoci. Noi rinforziamo questo nucleo protettivo ulteriormente ché dobbiamo affrontare lo shock della nascita, e poi nei conflitti delle fasi orale, anale, e genitale del nostro sviluppo infantile.
Entro l’età di tre, quattro anni, abbiamo già quasi completamente sviluppato le nostre posture caratteristiche, i nostri modi di evitare il dolore. Il resto della nostra vita è di solito un rinforzare questo nucleo, anni di risposte protettive accumulate in questo modo. Ma noi rendiamo la nostra corazzatura ancora più complicata creando più protezione. Poiché, quantunque il nucleo sia la parte più resistente di noi, è anche la più vulnerabile al dolore intenso. La scorza esterna, la conchiglia, invece ci permette di rischiare di più; se ci facciamo male al livello superficiale, restiamo protetti al livello interno. Noi manteniamo questa divisione basilare tra superficie e nucleo in molte maniere e forme. Al livello fisico può essere che abbiamo molto sviluppati i muscoli più esterni del corpo, quelli che sono definiti anatomicamente muscoli estrinseci. Questi sono i potenti muscoli della locomozione, che determinano i movimenti del correre, del sollevare, e del lanciare. Può darsi che per esempio abbiamo sviluppato questi muscoli esterni notevolmente allo scopo di superare i nostri problemi attraverso forza e potere puri e semplici, ma nel processo soffochiamo i nostri muscoli interni, gli intrinseci, che sono quelli che danno inizio e coordinano il movimento. Questo sbilanciamento, tra una superficie dura ed un nucleo soffice, nei casi estremi, ci fa essere muscolarmente nodosi e maldestri. A livello emozionale può darsi che riteniamo che se le nostre vite sono sufficientemente attive all’esterno, anche la nostra vita interiore sarà sufficientemente attiva. Se diveniamo coscienti dell’eccessivo sviluppo dell’esterno di noi stessi, della dura conchiglia-protettiva che ci siamo creati, possiamo tentare di ammorbidirla lavorando gradualmente dall’esterno verso l’interno. Una delle strategie più frequentemente usate nel lavoro corporeo profondo è lavorare appunto dalla conchiglia procedendo verso il nucleo. In questo lavoro il corpo viene considerato come una cipolla con molti strati, ed allo scopo di intervenire e rendere accessibili gli strati interni, quelli esterni devono essere pelati. Possiamo comprendere questo approccio al corpo meglio se per un momento guardiamo la natura e l’arrangiamento del tessuto che viene manipolato. I muscoli del corpo sono avvolti in buste, fatte di tessuto plastico chiamato fascia. Questo materiale organizza e guida i nostri muscoli dando forma ad un sistema fatto di strati di tessuto. All’esterno del corpo abbiamo uno strato vasto che avvolge totalmente tutto l’esterno e che come una grande busta della spesa mantiene tutto insieme. Andando più in profondità troviamo avvolgimenti individuali per ciascun muscolo. ché sviluppiamo schemi di comportamento emozionale e fisico rigidi questo sistema di fascia diviene meno flessibile, restringendo i nostri movimenti e l’attitudine generale del corpo-mente. La strategia in questo tipo di lavoro dall’esterno verso l’interno consiste nell’ammorbidire e riorganizzare quelle parti del sistema fasciale che sono divenute dure ed incollate, e ciò, dal canto suo, ridona mobilità e bilanciamento ai muscoli tenuti dalla fascia. Questo è quanto si crede normalmente. Fatto è che io ho trovato che, se cominciamo a lavorare all’esterno di noi stessi, poiché crediamo che in questo modo possiamo rendere più accessibile il nostro interno, trascuriamo il fatto che la nostra corazzatura sottilmente tende a spostare le sue difese. La tensione che liberiamo in superficie può darsi che semplicemente si sposti verso un luogo più profondo e più protetto. Naturalmente è importante rispettare il ritmo con il quale una persona attraversa ed assimila il cambiamento, e spesso nel mio lavoro mi concentro sui piani superficiali della fascia e poi gradualmente vado in profondità. Nonostante ciò ho trovato che quando una vera trasformazione avviene, non è solo l’esterno che è cambiato. L’interno contemporaneamente è sottoposto agli stessi cambiamenti.
Quando comincio a lavorare con strati di tessuto superficiali, coordino questo lavoro facendo muovere muscoli intrinseci, mediante per esempio, un gentile basculamento delle pelvi con piccoli movimenti della spina dorsale. Inoltre quando lavoro sulla muscolatura estrinseca, oltre che sugli atteggiamenti e i sentimenti esterni, può darsi che lavori simultaneamente all’interno della bocca che contiene alcune delle più profonde strutture, emozioni e attitudini del corpo. Piuttosto che vedere il corpo, il corpomente, come una cipolla a molti strati, io lo vedo come una sorta di massa plastica vibrante, meno viscosa in alcune parti che in altre, e composta della stessa sostanza che si insinua dall’esterno all’interno e dall’interno all’esterno. In questo modo, quando viene toccata a qualsiasi livello o profondità, istantaneamente risponde, cambiando forma in tutte le altre parti e dimensioni.
Caricare e scaricare
Ho spiegato che l’Integrazione Posturale, in quanto lavoro corporeo olistico, è un modo di alleggerirsi dalle posture rigide, quelle abitudini dimenticate a metà emozionali, fisiche e mentali che abbiamo sviluppato per far fronte agli stress del vivere. D’altro canto essa è anche un integrazione, un armonizzazione della nostra struttura, un processo di bilanciamento della nuova energia e delle nuove libertà scoperte. A questo punto possiamo esplorare nuovi movimenti, nuovi sentimenti, e atteggiamenti, finché anch’essi diventano abituali, e possono essere rimpiazzati (ma non abbandonati) dal comportamento spontaneo. Possiamo paragonare questa attività al caricare e scaricare una batteria. ché ci discipliniamo nelle abitudini, immagazziniamo energia; ché ci abbandoniamo ad una nuova esperienza liberiamo quest’energia immagazzinata. Questo crescere dell’energia, questa scarica e ricarica è un ciclo continuo e ripetitivo. Se rifiutiamo di caricare noi stessi, diveniamo deboli, alla ricerca di nuova energia. Se rifiutiamo di scaricarci, diveniamo tesi dall’energia in eccesso trattenuta. Permettendo al ciclo di carica e scarica di fluire in tutte le attività del corpo-mente dona una direzione naturale alle nostre vite. Questo ciclo di carica e scarica coinvolge sia il vecchio che il nuovo. Io accetto ed uso le mie abitudini ed i miei atteggiamenti passati, ma sono libero di essere spontaneo. Ogni movimento, ogni emozione, ogni idea prende lo spazio e l’energia che gli sono necessari a completarsi, ma non blocca l’attività del momento successivo. Per esempio, mentre comincio a sentire la mia rabbia, ho bisogno di tempo per permettere all’irritazione di crescere, perché la mia energia possa crescere. E mentre la mia rabbia cresce, ho bisogno di tempo per esprimerla pienamente per permetterle di scaricarsi. Se il crescere della mia irritazione, o del culmine della mia rabbia è interrotto, resto bloccato nella mia frustrazione. O se continuo ad esprimere la mia rabbia finché diventa un’ira senza senso, resto bloccato ed esausto. La nostra respirazione è la chiave per mantenere un facile equilibrio tra la carica e scarica della nostra energia. Se prendiamo troppa aria, noi aumentiamo la nostra energia senza espandere completamente quella accumulata. In altre parole se lanciamo fuori il nostro respiro con una lunga estensione, espirazione contratta, prolunghiamo troppo noi stessi. Un modo per rilasciare questa corazza è con l’aiuto dell’integratore, di portare via l’attenzione da questa parte del ciclo del respiro che lavora più del dovuto e focalizzarsi sulla parte trascurata. Se la vostra espirazione è eccessiva, se non c’è abbastanza scarica, è importante di ammorbidire rallentare l’espirazione, mentre si sostiene una profonda inalazione, specialmente in quelle aree del petto, ombelico o la schiena che sono trascurate. Contrariamente, quando l’inspirazione è troppo grande, puoi spostare l’attenzione da una profonda inspirazione ad una larga espirazione. ché ci liberiamo delle nostre abitudini, iniziamo a permettere più carica e più scarica, ma l’improvviso nuovo movimento della nostra energia può disorientarci a meno che non impariamo a permettere alla nostra energia di scorrere per il suo corso e trovare un nuovo bilanciamento o armonia. Il primo stadio dell’Integrazione Posturale è la liberazione delle nostre strutture rigide; il secondo stadio è l’integrazione, l’armonizzazione della nuova energia. Dopo aver liberato i loro blocchi, voglio che i miei clienti si focalizzino sulle connessioni nella loro vita, per sentire come possano fluire da un movimento, sentimento o pensiero all’altro senza dover trattenere vecchie posture ed abitudini. Io lavoro sulla forma generale del corpo-mente, organizzando i lunghi piani fasciali ed i fogli di fascia tra i maggiori segmenti corporei. Le gambe e le cosce ora possono ondulare insieme ai movimenti respiratori del torso. Il bacino può oscillare naturalmente in connessione con la testa. Nello stadio dell’integrazione, quando il respiro è libero, c’è un bilanciamento tra l’inalazione e l’esalazione, tra la nostra capacità di caricare e scaricare la nostra energia. Lavorando con la fascia, io rispetto il ritmo naturale di respiro dell’individuo, lasciando che la mia pressione segua e si adatti all’ampiezza dell’inalare e dell’esalare. Con l’Integrazione Posturale incoraggiamo quello che chiamiamo “respiro spontaneo,” ciò è quel movimento vibrante, imprevedibile dell’intero apparato respiratorio ed eventualmente dell’intero corpo, che è essenziale per una flessibilità ed equilibro duraturi.
Accettazione e comprensione
L’Operatore di Integratore Posturale è estremamente attento al percepire quanta pressione potete tollerare ad un dato momento. È necessario infatti lavorare al confine tra un massaggio rilassante ed un ingresso più profondo e a volte leggermente doloroso nel tessuto. Se la pressione è troppo leggera niente di nuovo è evocato; se è troppo profonda o rapida, a la corazzatura finirà per rinforzarsi. È necessario che vi confrontiate con la vostra corazzatura ma ad un ritmo che gradualmente vi permetta di assimilare ed esplorare ciò che accade. Infine, comunque, c’è la vostra intenzione rispetto a quanto ritenete opportuno essere ricettivi, ed esperienziare quelle parti del sé che sono state precedentemente rifiutate e rese inconsce. Durante tutto questo l’integratore può aiutarvi a comprendere passi importanti che dovete intraprendere nel processo di assimilare e comprendere questa esperienza. Sia che la corazzatura prenda la forma di una dura difesa sia di un soffice cuscino, è sviluppata agli inizi come un sistema per evitare dolore e insoddisfazione, ma diventa il sistema abituale attraverso cui, inconsciamente, rimaniamo attaccati e fissati al dolore. Avere esperienza di questa corazza significa liberarci da atteggiamenti e posture del passato, ma ciò in nessun senso significa evitare o distruggere le nostre uniche storie personali. Incontrare la nostra corazza è un processo preciso nel quale ci liberiamo dal nostro passato e nello stesso tempo lo rendiamo parte di noi. Allo scopo di essere liberi dalla nostra corazza non solo dobbiamo contattarla e riconoscere il suo ruolo nella nostra vita, ma anche dobbiamo accettarla e appropriarcene come parte di noi.
Spesso ci rendiamo tanto insensibili che diventiamo totalmente incoscienti delle nostre difese e, continuamente, ci creiamo un ambiente in cui non corriamo il rischio di incontrare mai problemi. Ogni cosa è attentamente resa sicura e senza interesse. La prima condizione della trasformazione è sentire e percepire la nostra incompletezza, essere frustrati. Durante la fase di liberazione, in Integrazione Posturale, arriva un punto in cui i clienti iniziano ad esperienziare questa resistenza al cambiamento. Senza questo primo passo, nessuna quantità di manipolazione del tessuto, di respirazione profonda, di movimento guidato o affermazione spirituale o mentale può portare ad una liberazione significativa e definitiva della corazzatura psicosomatica. Il secondo passo nell’esperienza di liberazione è il riconoscimento o l’accettazione che la frustrazione, questo senso di incompletezza, è il problema stesso. Fino a che la mamma, il babbo o la società servono come capro espiatorio, causa del mio problema, io resterò incollato, bloccato, anche se sono cosciente di avere un problema. Ugualmente se è “quel mal di schiena” o “quel mal di piedi” che mi controlla, io non ho ancora accettato e riconosciuto la mia corazzatura per quello che è, ciò è la mia difesa contro me stesso. La liberazione che io sento nel lasciar andare la mia corazza non è un evento misterioso in cui i miei pesi vengono sollevati da una misteriosa forza. Mentre l’integratore interviene sul mio corpo, c’è bisogno che io abbia la volontà di dire “io sto resistendo.” Con questo riconoscimento è possibile che io cominci a sentire la mia lotta con me stesso o cominci semplicemente a notare la mia resistenza. Infine come ultimo passo nel processo di lasciare andare la mia corazzatura è necessario che io mi appropri e dichiari la mia incompletezza, il mio dolore e la mia insoddisfazione in quanto parte benvenuta ed importante di me stesso. Ora che sono responsabile nel creare il mio dolore, lo accetto anche come una parte vitale e di valore per me. Qui c’è un paradosso apparente: il momento che realmente accetto un mio atteggiamento non voluto, ne divento libero. Per esempio quando accetto il mio odio per mio padre, l’odio diventa completo, intero, e potente, e sono pronto per altri sentimenti. Ora che odio mio padre posso anche pienamente amarlo. Il dolore che emerge dal lavoro profondo sul tessuto è trasformato; non è più dolore immaturo ma una parte riconosciuta ed accettata di me stesso che non è più semplicemente dolore, ma piuttosto una liberazione da una vecchia ferita. Io mi libero del mio passato facendolo diventare una parte di me. Durante il processo dell’Integrazione Posturale, l’integratore ci incoraggia a prendere contatto completo con ciò che accade, a confrontare noi stessi, e ad appropriarci di ogni parte di noi stessi. In questo modo trasformiamo i nostri vecchi dolori bloccati in nuove esperienze libere. Sviluppiamo una coscienza che non tratta i nostri corpi come oggetti da essere analizzati e manipolati. In molto dei modelli classici occidentali della coscienza, la coscienza è localizzata in un posto, ‘qui’, mentre l’oggetto è localizzato ‘li’, e noi tentiamo di ampliare la nostra attenzione in condizioni controllate analizzando parti diverse di un oggetto o di un evento. Secondo questo modo di vedere, io vedo il dolore nella mia schiena come un problema da essere studiato, in quanto effetto di cause che spero possano eventualmente essere eliminate e comprese. Ma questa separazione del dolore da me è il problema. Come già detto, finché tratto il mio dolore come qualcosa di estraneo a me, mi corazzo contro la possibilità di genuinamente esplorare il dolore ed esserne liberato. Sia la visione della coscienza della Gestalt che quella dello Zen, chiarificano come l’esperienza della liberazione sia un processo di appropriazione di parti di noi stessi dapprima estranee. Quando contatto pienamente, accetto, e mi approprio, faccio mia una parte di me stesso, non sono più semplicemente cosciente di essa in quanto oggetto separato, io divento l’oggetto. Nello Zen, io mi fondo totalmente con l’oggetto; io sono sia l’osservatore che l’osservato. E nella terapia Gestalt, io illumino lo sfondo parzialmente inconscio della mia esperienza lasciando che la parte inconscia di me parli. Appena il terapeuta incontrò la ben sviluppata corazza della mia schiena, io sentii il contatto, accettai la mia resistenza verso ciò che giace profondo dentro di me, e ora finalmente incomincio ad accettare come mia la parte bassa della schiena, standoci dentro, essendoci dentro, parlando da li a me stesso, “Jack io faccio male; devi rallentare il ritmo quotidiano e darmi la attenzione che merito.” Anche se questo dialogo non va oltre, ho già cominciato a liberare la difesa inconscia che è depositata nella mia schiena. Questo dialogo può continuare. Non solo posso liberare le mie parti corazzate, posso, attraverso le parti ora liberate, comunicare con altri aspetti di me che necessitano di nuovi movimenti, sentimenti e pensieri. Un altro modo di comprendere l’esperienza dell’essere liberati dalle nostre attitudini e posture passate, è guardare al dolore che emerge come un evento speciale e trasformativo nel sistema nervoso. Secondo una dalle più accettate spiegazioni della natura del dolore, la teoria della specificità, un semplice stimolo esterno alle terminazioni nervose nel tessuto del muscolo procura una risposta condizionata generale esperienziate come dolore, ma questo non tiene conto del diretto contributo del tessuto locale (e della sua memoria muscolare all’esperienza del dolore). Ciò che è percepito come dolore dipende non soltanto dalla risposta del cervello (e di conseguenza dalle successive risposte generalizzate dell’intero sistema) ma anche da come il tessuto locale permette allo stimolo di essere ricevuto nel sistema. La teoria della specificità non considera adeguatamente il ruolo della corazzatura e della liberazione dalla corazzatura nel determinare la reattività allo stimolo. Un modo alternativo di considerare il dolore è vedere il sistema nervoso come un unità reciproca in cui cambiamenti in una sua parte agiscono in tutte le altre. L’attività nervosa generale a non è solamente controllata dal tronco del cervello, ma centri più bassi giocano anche un ruolo critico. Secondo questa visione, come abbiamo detto, il sistema nervoso è considerato come un dispositivo complesso di porte che si aprono e chiudono ché gli stimoli attraversano i recettori locali. Ciò che io sento localmente non dipende semplicemente dalla risposta del solo cervello, ma anche da come il tessuto locale controlla queste porte. È come se le porte in una certa parte del corpo-mente fossero “predisposte” da una esperienza precedentemente dolorosa, predisposta da una corazzatura protettiva che “congela” il tessuto nel muscolo ed intorno al muscolo. Se la corazzatura dovesse essere considerata permanente e inalterabile, la teoria della specificità dello stimolo semplice e della risposta potrebbe giustificare molto del nostro comportamento “bloccato,” poiché le porte rimarrebbero nelle loro posizione abituali e la loro influenza sarebbe sempre la stessa. Comunque, durante il processo della liberazione della nostra corazzatura, attraverso, lavoro corporeo profondo, sembra che siamo in grado di “riaprire” alcune delle soglie precedentemente predisposte dalle nostre esperienze. In questa visione, quando il terapista penetra le difese del corpo, il tessuto è ristimolato e il cliente può riesperienziare i ricordi, gli eventi contenuti e trattenuti nei muscoli. Sembra che quando abbiamo la volontà di riesperienziare pienamente il nostro dolore passato, iniziamo un processo di permanente vera dissoluzione anche della nostra più vecchia e caparbia corazzatura. Da quel momento in poi le soglie non sono più predisposte per nuovi generi di esperienze integranti. L’Integrazione Posturale a è un completo e sistematico processo attraverso cui possiamo scoprire l’unità dei nostri sé esterno ed interno, trovare un livello bilanciato per il caricare e lo scaricare l’energia, e affermare (contattare, riconoscere, appropriarsi) il nostro passato e l’esperienza presente. Essa può essere concepita come un processo in dieci sedute — sebbene molte persone possono richiedere più sedute — in cui ciascuna parte del corpo-mente è liberata dalla sua corazzatura e integrata nell’intera struttura. Durante le prime sette sedute, le gambe, le pelvi, il torso, le braccia e la testa sono liberati completamente e profondamente, e poi, nelle tre sedute finali vengono accuratamente messi in relazione armoniosa gli uni con gli altri. ché la nostra corazzatura difensiva basilare si dissolve, un fenomeno di rilievo accade: il tessuto corporeo diventa marcatamente più soffice, più consistente, ed anche più malleabile. Ciò può essere sentito dallo strato dei muscoli superficiali fino a quello degli estrinseci, e anche il tessuto profondo che avvolge i muscoli intrinseci é più disponibile e reattivo. Con questa liberazione il corpo comincia a trovare nuove proporzioni. Fianchi ampi diventano più stretti, torsi piccoli si espandono, torsi si allungano, facce si rilassano glutei si riempiono e si arrotondano. In alcuni casi si può crescere fino a quattro cinque centimetri in altezza ed allargare il petto di sette o otto centimetri di circonferenza. Contemporaneamente le emozioni ed i pensieri sono divenuti più flessibili. Si riesce a piangere, ad urlare, a ridere, a cantare, a lamentarsi più facilmente, ed i pensieri irrompono, liberati dai loro vecchi limiti. Durante la fase finale del processo, d’integrazione, l’integratore ci aiuta a a stabilizzare il respiro, a distribuire l’energia, ad armonizzare e renderci più coscienti dei movimenti del corpo, e ridirigere le nostre emozioni ed i nostri pensieri. La liberazione e l’integrazione del sé attraverso l’Integrazione Posturale, è un esperienza potente, riorientante. Ciò non significa che non avremo più difficoltà o non sentiremo più tensioni. C’è un bisogno continuo in noi di esprimere le nostre angosce e le nostre frustrazioni, ma ora potremo più facilmente riconoscerle, affrontarle e lasciarle andare.
Copyright Jack Painter, 1985
Traduzione Dr. Massimo Soldati
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